Noi che siamo nati nel decennio degli anni Cinquanta siamo figli di quei padri che hanno avuto difficoltà a raccontare la guerra e la prigionia.
Hanno tenuto dentro di sé, per lungo tempo, tutto ciò che avevano vissuto forse perché non volevano rivivere quei momenti drammatici per non impressionarci o forse perché speravano per noi un mondo migliore senza più guerre.
Noi oggi però abbiamo bisogno di memoria. Abbiamo bisogno che gli uomini e le donne che hanno vissuto quei tempi raccontino alle nuove generazioni ciò che è stato quel periodo orrendo della nostra storia. Abbiamo bisogno di capire profondamente le ragioni che hanno portato ad un conflitto mondiale, altrimenti avremo sempre dei grossi problemi con la storia.
Questo spettacolo è il racconto di un uomo, di un padre, che per tanti anni non ha mai parlato volentieri in famiglia e con gli amici della guerra in Russia, “incapace” di raccontare la propria storia, di darvi un senso, tale è l’incomunicabilità della guerra.
Ma quando l’ha fatto ha moderato le parole, i toni, soffermandosi discretamente sulle sofferenze.
Sono quelle storie di uomini semplici, uomini che se non li conosci non ti accorgi nemmeno che ci sono perché stanno in disparte, timidamente in disparte. Poi un giorno capita, per caso, di commentare un fatto storico della nostra Italia e ti raccontano un fatto avvenuto tanti anni fa, lontano nel tempo e allora ti accorgi che hanno un passato importante e intenso. E chiedi: “Ma davvero sei stato in Russia durante la guerra?” Allora senti una frase che non ti aspetteresti mai:
“Mi ricordo tutto dal primo giorno che sono partito da casa fino a quando ci sono tornato...”
Ci si ferma e non si può fare altro che ascoltare per ore.
Questo spettacolo è la storia di Paolo, un giovane che il 25 luglio 1942 parte per la guerra in Russia suo malgrado. È la storia di un ragazzo a cui viene rubata la giovinezza, un ragazzo come tanti che avrebbe voluto sognare ciò che i giovani da sempre sognano: innamorarsi, divertirsi ed essere libero, ma in quegli anni imperava la dittatura e un conflitto mondiale. Paolo non ne ha parlato per tantissimi anni, ha tenuto dentro di sé ciò che aveva vissuto. Poi un bel giorno racconta, forse doveva solo liberarsene o forse ha pensato che noi potessimo farne qualcosa... imparare che tutte le guerre sono inutili.
Noi oggi però abbiamo bisogno di memoria. Abbiamo bisogno che gli uomini e le donne che hanno vissuto quei tempi raccontino alle nuove generazioni ciò che è stato quel periodo orrendo della nostra storia. Abbiamo bisogno di capire profondamente le ragioni che hanno portato ad un conflitto mondiale, altrimenti avremo sempre dei grossi problemi con la storia.
Questo spettacolo è il racconto di un uomo, di un padre, che per tanti anni non ha mai parlato volentieri in famiglia e con gli amici della guerra in Russia, “incapace” di raccontare la propria storia, di darvi un senso, tale è l’incomunicabilità della guerra.
Ma quando l’ha fatto ha moderato le parole, i toni, soffermandosi discretamente sulle sofferenze.
Sono quelle storie di uomini semplici, uomini che se non li conosci non ti accorgi nemmeno che ci sono perché stanno in disparte, timidamente in disparte. Poi un giorno capita, per caso, di commentare un fatto storico della nostra Italia e ti raccontano un fatto avvenuto tanti anni fa, lontano nel tempo e allora ti accorgi che hanno un passato importante e intenso. E chiedi: “Ma davvero sei stato in Russia durante la guerra?” Allora senti una frase che non ti aspetteresti mai:
“Mi ricordo tutto dal primo giorno che sono partito da casa fino a quando ci sono tornato...”
Ci si ferma e non si può fare altro che ascoltare per ore.
Questo spettacolo è la storia di Paolo, un giovane che il 25 luglio 1942 parte per la guerra in Russia suo malgrado. È la storia di un ragazzo a cui viene rubata la giovinezza, un ragazzo come tanti che avrebbe voluto sognare ciò che i giovani da sempre sognano: innamorarsi, divertirsi ed essere libero, ma in quegli anni imperava la dittatura e un conflitto mondiale. Paolo non ne ha parlato per tantissimi anni, ha tenuto dentro di sé ciò che aveva vissuto. Poi un bel giorno racconta, forse doveva solo liberarsene o forse ha pensato che noi potessimo farne qualcosa... imparare che tutte le guerre sono inutili.